Le maschere e la funzione simbolico-relazionale nel teatro greco

Le maschere e la funzione simbolico-relazionale nel teatro greco

Le maschere e la funzione simbolico-relazionale nel teatro greco.

"Teatro" è una parola dall'etimologia complessa. Usata dagli antichi Greci per designare la gradinata dalla quale si contemplava la rappresentazione drammatica (da "theàomai", vedo) e dal pubblico che vi assisteva, fu poi estesa per indicare tutto l'edificio destinato alla rappresentazione, successivamente arrivò a significare l'opera letteraria o musicale che veniva rappresentata e, infine, si utilizzò per indicare qualunque forma di spettacolo (da "spectare", guardare). Il teatro si rivolge, per sua stessa natura, ad una pluralità: a partire dalla Grecia fino a tutt'oggi, il pianto, la commozione o qualsiasi forma di rappresentazione sono di natura collettiva. Anche la parola "dramma" viene dalla tradizione greca ("drao", opero, agisco): il teatro drammatico pone infatti al centro la parola, il messaggio, che viene commentato ed ampliato dalla visione delle scene. Cardine del dramma è il conflitto. Tutti i protagonisti dei principali drammi teatrali vengono a trovarsi in situazioni complesse, che pongono i personaggi di fronte a scelte dolorose ed impegnative.I greci hanno avuto l'intuizione di drammatizzare situazioni di vita e di metterle in scena. Nella tragedia greca si assiste pertanto ad una forma di relazione dinamica realizzata da due parti coinvolte attivamente: il pubblico che apprende dalla scena, e il coro, che accompagna, sollecita, interroga gli attori.

maschera funeraria di AgamennoneNel percorso drammaturgico antico, si realizza un percorso di mediazione: dalla Theoria, ovvero dall'esposizione del vissuto attraverso un ascolto senza giudizio, alla Krisis, secondo  passo volto alla verità cui si manifesta la vergogna la fragilità dell'essere umano, per giungere alla Katarsis, ovvero all'incontro e alla riconciliazione. Tali funzioni di svolgimento relazionale possono essere simbolicamente rappresentate dalla stessa maschera utilizzata che consente all'attore lo sviluppo consapevole dei propri strumenti e dei propri ruoli nella finalità insita nell'espressione cristallizzata: lo specchio che riceve e riflette le emozioni; il silenzio che crea spazio di accoglienza; l'assenza di giudizio e volontà deliberata di indurre consapevolezza alle parti di essere; l'interrogazione intima, confronto reciproco con le proprie ambiguità. Vi è certamente un potente rimando tensivo all'armonia dell'uomo nella sua interezza di corpo, psiche e spirito dove, secondo gli insegnamenti dell'antica cultura greca, non vi è un obiettivo da raggiungere ma un ambito di condivisione.

I Greci consideravano la tragedia un rito catartico, una liberazione dal male e l'utilizzo della maschera può essere considerata come l'espressione privilegiata in cui si dispiega la trama articolata della narrazione.Nel teatro antico il conflitto era espressione di un dolore. Sofferenze profonde, ricerche di senso in un universo regolato dal caso o spesso da dei impotenti e capricciosi. Nella drammaturgia, il coro greco rappresenta la voce collettiva che esprime istanze della vita associata rispetto a quelle individuali del protagonista. È la quotidianità del vivere in contrapposizione alle emergenze del mito, caratterizzate dalla loro diversità. La parola chiave che le individua è spesso monos, "solo", che lo stesso coro assume l'incarico di mediare e trasmettere alla collettività parallela rappresentata dal pubblico. Il coro tragico, la maschera, non si pone in termini oppositivi se non quando ricopre la funzione tecnica di antagonista. La situazione più frequente è quella in cui manifesta in realtà simpatia per il protagonista e la sua causa ma tende con tutte le sue forze allo smussamento dei conflitti in cui esso è implicato, ricercando la conciliazione e il compromesso anche nei casi in cui le crisi sono ntinomiche. Occorre altresì evitare di considerare la gnomica corale in maniera standardizzata, identificandola con un'assoluta proposizione di verità sia in senso metafisico (il coro e la maschera come occhio divino) in senso semiotico come depositario ed interprete della strategia dell'autore. Il coro non ha sempre ragione, ricerca nel complesso una strategia conciliativa, illuminando il messaggio tragico di sfumature contrastanti, interrogative, preservando la diversità prospettica degli avvenimenti, allargando l'emozione di stupore e sgomento ad una prospettiva di apertura che supera il giudizio morale.

EschiloNelle "Eumenidi" di Eschilo, il tema della giustizia è svolto con toni accesi. L'uomo è teso alla ricerca di una giustizia unica e oggettiva, dove la concordia rappresenta il segno di un'inequivocabile posizione davanti a tutte le cose, un unico giudizio cui gli uomini aspirano ma che non riescono a raggiungere proprio perché neanche gli stessi dei ne hanno consapevolezza. Eschilo insegna al suo pubblico in uno dei cori più belli delle sue tragedie, il primo dell'Agamennone, che la maturazione dell'uomo avviene attraverso un percorso di attraversamento del dolore, della sofferenza, che inevitabilmente appartengono alla vita: il pàhtei mathos. La sua grandezza consiste proprio dalla visione del dolore come una possibilità di crescita, poiché esso non è distruzione ma dono, concesso dagli dei all'uomo per permettergli di capire più a fondo se stesso e ciò che egli vive. Nell'Antigone di Sofocle, la forza della coralità inneggia alla potenza dell'ingegno umano e alla sua grande capacità di poter operare nella natura con consapevolezza e successo, ricordando però la possibilità che azioni malvagie lo distolgano da fini etici intesi come accordo armonico alle leggi della natura. Tutte queste tematiche sono sentite profondamente anche nella contemporaneità: come nella tragedia greca emerge potente ed irrefrenabile la domanda, la richiesta dolente dell'uomo di portare a compimento una mediazione fra le tensioni intellettuali e gli abbandoni fideistici per poter meglio penetrare nel mistero profondo della complessità della sua natura e del fine ultimo dell'agire. L'eroe tragico è uno, ma il suo dolore e il suo urlo interrogativo appartengono a tutta l'umanità. Attraverso l'utilizzo della maschera, si ripropone il tema della ricerca di spazio fisico e metafisico che rappresenta e accoglie il disordine, la sofferenza, la separazione. E' l'accompagnamento visivo al grido per la ferita subita, alla lotta con sé stessi, un "rito" in cui è possibile trasformare un'energia distruttiva in opportunità di crescita, di cambiamento, di trasformazione, rappresenta la ricerca di uno spazio aperto necessario per condividere l'esperienza di essere. La maschera diviene il respiro, riconoscimento ontologico della dignità del dramma esistenziale

"…il miracolo di un'arte che è rimasta inimitabile. L'armoniosa struttura, la vibrante e ferma potenza, la tensione intima e il luminoso fulgore della tragedia greca, contiene il segreto di una grandezza che sfugge quasi nella sua apparente semplicità, ma che ad ogni lettura rivela una perfezione più grande e lascia sgomenti. Ed è come se il dono dei tragici, dal poeta all'uomo, tenda a riscattarlo dall'assurda felicità dall'immedicabile dolore di vivere".( R.Cantarella )

Sonia Sigurtà Braibanti

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